Telemedicine Mission in Malawi – Kenya- Mozambico
Dal 08 al 18 ottobre 2022
Incontro con il dott. Fulvio Erba
Il team della Telemedicina è in partenza per una nuova missione. Ce lo racconta il dott. Fulvio Erba, biochimico, membro del Consiglio Direttivo della Global Health Telemedicine Onlus (GHT), la Onlus che apre centri di teleconsulto nei Paesi più sguarniti di equipe mediche.
«Ebbene sì, noi della GHT portiamo fisicamente, in molte nazioni del mondo, soprattutto in Africa, diverse apparecchiature, soprattutto di laboratorio e, attraverso la possibilità di connessione internet, ampliamo il ventaglio di diagnostica dei pazienti del luogo: tramite la nostra piattaforma, infatti, medici volontari di tutta Europa inviano le loro diagnosi ai pazienti africani e sud americani».
Qual è la particolarità della missione che state andando a fare in Kenya, proprio in questi giorni, rispetto alle altre, finalizzate all’apertura di un nuovo centro di Telemedicina?
«L’obiettivo di questa missione è l’apertura di una postazione di teleconsulto audiologico in un ospedale keniota, a Nairobi, il Gertrude’s Children’s Hospital, in accordo con una fondazione italiana, la fondazione Mario Sanna, che si occupa di audiologia. Sto per partire, infatti, insieme al caro amico e collega della GHT, Michelangelo Bartolo, per i primi sopralluoghi e ricognizioni».
Si tratterebbe quindi dell’apertura non del primo ma del vostro secondo centro di telemedicina per la diagnosi di problemi audiologici.
«Esatto, ne abbiamo già uno in Malawi, da un anno e mezzo, sempre in collaborazione con la fondazione Sanna, con cui abbiamo un accordo per l’installazione e l’utilizzo della strumentazione da loro fornita. La postazione in Malawi prevede anche lo screening audiologico dei neonati per un’analisi il più possibile precoce di problemi legati all’udito».
Avete molte richieste di teleconsulti audiologici provenienti dall’Africa che vi danno contezza di quanto sia importante aprire un'altra postazione specializzata?
«Abbiamo decisamente contezza del fatto che l’audiologia è importantissima in Africa. In quei Paesi, infatti, i bambini con problemi di udito corrono un alto rischio di essere abbandonati. Chi nasce sordo o sordomuto, a due anni, invece di parlare, si esprime con versi, e, ovviamente, quando la mamma lo chiama non si gira, ecc. Dunque, a volte questi bambini vengono considerati degli indemoniati e rischiano di venire abbandonati per strada. Se avessero alla nascita una diagnosi di problemi di udito, molte di queste storie - e sono storie vere - potrebbero essere evitate».
Da un punto di vista personale, umano, che cosa la spinge ma soprattutto che cosa le permette di non perdere la motivazione a compiere missioni sanitarie in Africa da oltre vent’anni?
«Ho sempre avuto la spinta a restituire, nei modi in cui era possibile, qualcosa di ciò che a me è toccato per il solo, fortuito fatto di essere nato nella parte del mondo più privilegiata. Trovo giusto farlo. E poi, è un piacere portare aventi queste esperienze con il team della GHT. C’è un clima molto fraterno tra di noi».
Sono aumentate o diminuite nel corso degli anni le sue speranze nella possibilità di “contagiare” altri medici italiani ad intraprendere missioni di questo tipo?
«La speranza ancora resiste. Ci sono persone che spalancano gli occhi e dicono “ma che bello, ma che bravo, ma come fai, vorrei farlo anch’io”. Alla fine, il 90% delle volte, restano solo buoni sentimenti, qualche lacrimuccia, qualche telefonata e messaggio».
Questa sarà la terza volta che andrà in Africa quest’anno. Nel 2022 è già stato in Malawi e in Repubblica Centrafricana. Che situazione sanitaria e sociale ha trovato, dopo due anni di pandemia, in quelle comunità?
«I paesi sono stati molto colpiti ma la maggior parte delle persone africane con cui ho parlato non era molto preoccupata del Covid, hanno problemi che a loro sembrano più urgenti e più immediati. Ho sentito dire frasi come “Posso pensare a mettere la mascherina o a vaccinarmi per il Covid se non ho neanche il pane per domani?”. Ma la situazione è molto controversa, non foss’altro perché un malato di Covid lì non ha tutti i presidi, le medicine, i ventilatori che abbiamo noi».
Silvia Mosca